marchio juventus su campo azzurro

La Juventus ottiene un’inibitoria sugli NFT

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Preambolo

Il Tribunale di Roma ha concesso alla Juventus un’ordinanza con cui dispone il ritiro dal mercato di tutti gli NFT immessi sul mercato da una società terza, ritraenti l’immagine di un ex giocatore della Juventus,  mentre indossava la casacca delle squadra juventina.

In particolare la società destinataria del provvedimento aveva immesso gli NFT acquisendo solamente il consenso del giocatore che deteneva i diritti di sfruttamento della propria immagine, ma non dalla società Juventus a cui apparteneva la maglia indossata nell’immagine tokenizzata.

L’ordinanza che, ripropone ancora una volta la problematica della liceità del contenuto degli NFT, è la prima nel suo genere.

Inutile evidenziare come questo provvedimento è di estremo interesse per coloro che praticano il mondo degli NFT, perché consente di inquadrare giuridicamente il fenomeno e di trarne le opportune considerazioni.

Motivazioni del Tribunale Romano

Il Tribunale adito appunta la sua riflessioni su tre argomenti piuttosto robusti:

  1. Il marchio Juventus o Juve sia dal punto di vista nominativo che grafico è notorio e, pertanto, gode di una protezione forte, cioè di una protezione che può trascendere il settore commerciale in cui il titolare dello stesso opera.
  2. Benché il marchio Juventus non sia stato registrato per il prodotto NFT, lo stesso può essere fatto rientrare nella categoria n.9 che include i software scaricabili. Infatti secondo il Giudice Romano “nella registrazione dei marchi é espressamente indicato (in particolare per la classc 9) che la registrazione riguarda anche prodotti non inclusi nella classificazione di Nizza e che sono inerenti anche a pubblicazioni elettroniche scaricabili.”
  3. Infine per il Tribunale  “Juventus ha provato anche che é divenuta attiva nel settore dei crypto game, o blockchain game, ossia videogiochi online che si basano su tecnologie blockchain e sull’utilizzo di criptovalute e/o di non fungible tokens (NFT)”.

Certificato di autenticità e liceità del contenuto

Oltre il 90% degli NFT distribuiti sul mercato non sono legittimi.  Se è vero, infatti, che i non fungible token costituiscono dei certificati di autenticità circa la provenienza del prodotto, essendo incancellabili le pregresse transizioni, è altresì vero che il creatore dell’NFT può non essere legittimato ad inserire un determinato contenuto nel token.

E, per rimanere in termini calcistici, è su questo che si gioca l’intera partita.

A tal proposito il Tribunale evidenzia come “a prescindere dalle caratteristiche telematiche delle Cards in questione, la società resistente, con la creazione di dette Cards e la loro commercializzazione, oltre ad utilizzare l’immagine  del giocatore nei limiti del contratto di utilizzazione dell’immagine stipulato con la società che ne gestisce i diritti di immagine, ha utilizzato senza autorizzazione anche i marchi della società Juventus. Rimarca inoltre come “l’utilizzazione dei marchi in oggetto non può essere giustificata (ex art. 97 LDA) dall’interesse della pubblicazione dell’immagine in considerazione della notorietà del personaggio, in quanto dette pubblicazioni non sono finalizzate a scopi scientifici o didattici, né sono giustificate da un’esigenza pubblica di informazione.”

Escluso, pertanto, il “fair use”, il Giudice romano non ha accolto  l’eccezione di cessata materia del contendere sollevata dalla parte resistente, la quale aveva rilevato come la stessa avesse smesso di commercializzare le cards.

Il Giudice, infatti, ha respinto l’eccezione osservando come l’interesse ad ottenere l’inibitoria permane in ragione del fatto che le card sono tuttora in circolazione nel mercato secondario. Di qui l’ingiunzione a ritirare gli NFT dal mercato, operazione la cui fattibilità dovrebbe essere verificata tecnicamente, considerata la tecnologia utilizzata per la transizione, vale a dire la blockchain.

Conclusioni

Oramai ci sembra di poter osservare come, pur in assenza di una legislazione specifica, sia i Tribunali nostrani che quelli d’oltreoceano stiano risolvendo i casi portati alla loro conoscenza senza troppe difficoltà, utilizzando le categorie e gli strumenti già disponibili per lo scrutinio dei casi appartenenti al mondo fisico che conosciamo meglio.

Il proliferare di violazioni ci induce a ritenere che al livello diffuso vi sia ancora molta ignoranza su ciò che sia consentito o non consentito fare con le nuove tecnologie.

Tale ignoranza, peraltro, già presente nel web 2.0 e, semmai solo aumentata nel web 3.

Il problema che tuttavia non è ancora stato affrontato dai Tribunali, e vedremo come verrà dipanato, è la fase esecutiva dei provvedimenti giudiziari. In particolare ci si chiede in qual modo potrà darsi luogo ad un’esecuzione forzata nell’ambito di un ambiente decentralizzato come la blockchain e, ancora, come potrà imporsi delle penali nel caso in cui l’ingiunto si trovi nell’impossibilità tecnologica di dare esecuzione, per esempio, ad un provvedimento di ritiro dal mercato.

 

 

 

 



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