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Cryptomonete, il minimo da sapere

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Cosa sono

Secondo la definizione di Banca d’Italia, le criptovalute costituiscono  rappresentazioni digitali di valore ed, in quanto tali, possono essere utilizzate come mezzo di scambio o detenute a scopo di investimento.

Le criptovalute sono monete che si possono utilizzare unicamente per via telematica, non essendovi un corrispondente cartaceo o metallico.

A differenza delle valute tradizionali, tuttavia, le criptovalute non vengono emesse da una Banca Centrale e sono scambiate “peer to peer”, cioè senza l’intervento di un intermediario.

Quando sono nate

La  prima criptovaluta realizzata è stata bitcoin. La sua rappresentazione teorica risale al 2008 con la pubblicazione online di un paper scritto da tale Satoshi Nakamoto dal titolo “A Peer-to-Peer Electronic Cash System”.

Ad oggi non si sa ancora chi sia Satoshi Nakamoto, né se si tratti di una singola persona o di un collettivo di ingegneri.

Ad ogni modo Satoshi Nakamoto ha il merito di aver combinato tecnologie già conosciute,  la blockchain, per esempio, esisteva già negli anni 90, e in tal modo aver creato qualcosa di nuovo.

Per comprendere le caratteristiche principali delle criptovalute occorre avere ben chiari tre concetti:

  1. Cos’è una valuta
  2. Cos’è la blockchain
  3. Cos’è la crittografia

Il concetto di valuta

Una valuta è la rappresentazione di un valore.

Nel corso della storia il concetto di valuta ha subito una sorta di processo di astrazione di cui le criptovalute rappresentano solo l’ultimo paradigma.

In origine le monete venivano coniate in metallo pregiato.

Il loro valore era intrinseco.

Successivamente sono state sostituite da monete o banconote rappresentative di una determinata riserva aurea di cui i governi garantivano la convertibilità in oro.

Per quanto se ne sa, questo tipo di valute sono comparse per la prima volta in Cina nell’XI secolo e in Occidente, per la precisione in Olanda, nel XVII secolo.

Una particolare espressione del principio di convertibilità sono stati anche gli accordi di Bretton Woods siglati all’indomani della seconda guerra mondiale.

In particolare i dollari americani, secondo il sistema Bretton Woods dovevano rispettare  la parità aurea di 1/35 di oncia mentre le valute degli altri Stati dovevano mantenere un tasso di cambio fisso rispetto al dollaro statunitense.

La convertibilità moneta/metallo, nello specifico dollaro – oro  è durata fino al 15 agosto 1971, data in cui a Camp David,  il presidente americano Nixon, in evidente difficoltà per  le spese sostenute durante la guerra del Vietnam, con una storica dichiarazione, poneva fine a tale sistema.

Tramontato Bretton Woods, veniva introdotto il concetto di valuta fiat.

Fiat è un termine che deriva dal latino, significa “che sia fatto”, vale a dire “così è stabilito”.

Questo significa che il valore da questo momento trae origine da un “dictat” dell’Autorità.

Contemporaneamente venivano  istituiti il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, enti a cui veniva affidato il compito di vigilare sul sistema monetario e concedere prestiti ai Paesi indebitati.

Il valore del denaro, pertanto, oggi si fonda esclusivamente sulla fiducia che riponiamo nell’Autorità che lo presidia ed, in definitiva, nel sistema monetario esistente.

Il sistema delle criptovalute è un ambiente alternativo in cui il valore è ugualmente riposto nella fiducia.

Tale fiducia, tuttavia, non viene indirizzata ad un’istituzione statuale,  ma ad un algoritmo.

Malgrado le differenze sostanziali, quindi,  valute fiat e criptovalute condividono il fatto di fondarsi entrambe sul riconoscimento ottenuto da una comunità.

La crittografia

Nella “criptoeconomy”, la crittografia viene utilizzata per tre scopi principali;

  1. per proteggere le transazioni
  2. per controllare la creazione di unità aggiuntive
  3. per verificare il trasferimento di beni.

La crittografia è essenzialmente la pratica di cifrare determinati dati o informazioni in modo da garantirne la segretezza rispetto a terze parti.

La crittografia, utilizzata sin dai tempi degli Egizi, conosce tra gli informatici un periodo di significativa teorizzazione a metà degli anni novanta per opera del cosiddetto movimento cypherpunk. Tra i diversi studi condotti dai cypherpunk si segnalano il progetto “Remailer” con il quale si era riusciti a cifrare il mittente di una mail e l’invenzione di Blacknet, una sorta di antenato del sistema Bitcoin.

In realtà Blacknet rimase solo un bel progetto fino  alle 2.10 pm (ora di New York) del 31 ottobre 2008, allorché, mentre tutti i media americani davano risalto alle  dichiarazioni ottimistiche del responsabile della campagna elettorale di Obama a tre giorni dal voto, il famigerato Satoshi Nakamoto, probabilmente non essendo particolarmente interessato alle vicende politiche, inviava agli altri cypherpunk una mail con il paper di Bitcoin.

Due mesi dopo la prima mail, Satoshi rendeva pubblico il codice informatico di Bitcoin, caricandolo sulla piattaforma SourceForge.

Ed ancora il 12 gennaio 2009, ancora il solito Satoshi inviava all’amico Hal Finney 10 bitcoin.

Ad ogni modo bitcoin usava la crittografia a chiave pubblica al pari di blacknet.

Senza entrare troppo nello specifico, questa metodologia prevede la simultanea generazione di due chiavi: una chiave pubblica ed una chiave privata.

Le chiavi vengono prodotte da un algoritmo e consistono in stringhe che contemplano una serie random di cifre, numeri come il seguente: HGregIOJlm9u9NO6hjnnknuF56GP79

Per lo scambio di un valuta, Bob non deve far altro che trasferirla  all’indirizzo pubblico (chiave pubblica) di Alice. Bob, quindi, cripta l’operazione con la chiave pubblica, cioè nota a tutti, di Alice. Solo Alice però potrà decrittare l’operazione con la propria chiave privata.

Il concetto di blockchain

La blockchain è l’architettura informatica in cui si svolgono le transazioni basate sulle criptovalute.

Traducendo dall’inglese, blockchain significa catena di blocchi.

La blockchain è quindi una catena di blocchi contenenti dati. Si tratta di una tecnologia inventata già nel 1991 con lo scopo di assegnare data certa ad un documento digitale così da prevenirne l’alterazione.

La blockchain, nella versione di Satoshi, è, inoltre, un registro distribuito, parzialmente anonimo, liberamente consultabile. In particolare ciascuno può consultare chi possiede che che cosa. La parziale anonimizzazione deriva dal fatto che il pubblico non può conoscere le entità fisiche a cui sono ricollegati i vari indirizzi digitali.

Ogni blocco è sigillato da un codice hash che rappresenta la traduzione algoritmica di tutto il suo contenuto e dal codice hash del blocco precedente.

Tale soluzione risolve il problema della doppia spesa senza la necessità che vi sia un’intermediario. Tutto è riposto in un algoritmo che agisce come “timestamp”, consentendo di fotografare esattamente la cronologia di tutte le operazioni contenute nella blockchain.

Per comodità di esposizione, volendo entrare più nel dettaglio, chiameremo i due codici hash di cui abbiamo parlato, rispettivamente H1 e H2.

Nella blockchain ogni H1 deve corrispondere ad H2 del blocco successivo. Il registro inoltre viene duplicato in ogni nodo della blockchain, il che consente un controllo di tutti i nodi su quanto sta accadendo nella catena dei blocchi.

Non solo, l’inserimento dei dati in un blocco, può essere validato solamente dopo la risoluzione di un problema matematico, operazione per cui occorre un tempo di circa dieci minuti, per quanto riguarda Bitcoini. Tale operazione viene eseguita da soggetti terzi, chiamati miner e si chiama “proof of work”.

Ora, cosa accadrebbe se un hacker cercasse di modificare i dati di un blocco?

La risposta è semplice: si spezzerebbe la catena.

Verrebbe, infatti, a mancare la corrispondenza tra H1 del blocco modificato ed H2 del blocco successivo. Tale anomalia imporrebbe all’intruso di dover modificare tutti i blocchi della catena. Questa operazione verrebbe tuttavia frustrata dal fatto che, per la validazione delle modifiche, la catena dell’intruso non riuscirebbe mai a mettersi in pari con quanto risulta nelle altre copie del registro che si troverebbero sempre dieci minuti più avanti.

Riassumendo: la blockchain è un libro mastro, distribuito, immutabile e resiliente rispetto ad eventuali attacchi.

Caratteristiche delle cryptovalute

Le criptovalute, al pari di qualsiasi altra moneta, svolgono le tre funzioni classiche delle valute

  1. sono unità di conto;
  2. sono dei mezzi di pagamento;
  3. rappresentano deposito di valore.

Attualmente – in realtà – la funzione che esse assolvono con maggior efficienza è quella di deposito di valore.

Infatti, a causa dell’alta volatilità delle stesse e del tempo necessario per il perfezionamento di una transazione, le criptovalute scontano dei costi troppo elevati per essere adatti soprattutto nelle operazioni con valori più modesti.

Nota Bene

Le criptovalute, così come le valute tradizionali, sono divisibili e fungibili. In tal senso una criptovaluta si differenzia da un NFT (non fungible token).

Cos’è un wallet

Così come nel mondo fisico, anche in quello digitale, per operare un pagamento, occorre avere un portafoglio da cui attingere la provvista..

Tuttavia, contrariamente a quanto avviene nel mondo fisico, il wallet (portafoglio)  non contiene alcuna valuta, ma solo le chiavi di accesso alle criptovalute, cioè i codici necessari  per poterne disporre, di fatto si tratta di un  “portachiavi”.

Le valute, infatti, sono custodite altrove, online oppure offline dal sistema.

Bob usa la propria chiave privata contenuta del wallet per dimostrare la titolarità di una certa quantità di criptomonete e disporne.

In tale ottica, Bob può custodire le chiavi in tre modi:

  • scrivendole su un pezzo di carta (paper wallet)
  • archiviandole in una pennetta usb crittografata (hardware wallet)
  • archiviandole online o in un’app o altro software.

Come si possono procurare

Ci sono due modi per procurarsi le criptovalute. Il primo è “trasferirsi in Cina e cominciare a sminare Bitcoin”, ovviamente si scherza,  il secondo, e qui siamo seri, consiste nel rivolgersi ad una piattaforma “exchange” che, molto semplicemente opera come un cambio valute tradizionale.

Qui si possono cambiare valute fiat con criptovalute o viceversa, così come passare da una criptovaluta ad un’altra. Ovviamente l’exchange si fa pagare delle commissioni.

La scelta dell’exchange non è di poco momento. I fattori da considerare in linea di massima dovrebbero essere:

  • sicurezza di cambio
  • liquidità
  • commissioni
  • storia
  • mercato
  • esperienza utente

La quasi totalità degli exchange opera in modo centralizzato.

Il rischio per un’exchange centralizzato consiste nella più alta probabilità che possa essere hackerato, per contro tale rischio è mitigato in diversi modi, ad esempio portando offline una congrua massa di criptovalute o stipulando una buona assicurazione. Una soluzione non esclude l’altra.

Gli exchange decentralizzati, per contro, offrono meno servizi e un’esperienza di trading più complessa, il che, alla resa dei conti, li rende altrettanto rischiosi, se non addirittura più rischiosi, soprattutto per un principiante.

La legislazione sugli exchange è alquanto variegata. Negli Stati Uniti, per esempio, gli exchange dello Stato di New York sono soggetti ad una normativa molto rigida, che impone requisiti molto stringenti per l’ottenimento di una licenza.

Le criptovalute sono legali?

Ovviamente le criptomonete sono legali, cioè scambiare criptovalute nella maggior parte dei Paesi è lecito.

Nondimeno solo in El Salvador bitcoin hanno corso legale. A tal proposito il Fondo Monetario Internazionale anche recentemente ha esortato lo Stato del Centro America a rivedere la propria posizione. A destare preoccupazione sarebbe, in effetti, l’estrema volatilità di Bitcoin.

Salvo che per lo Stato di El Salvador, pertanto, lo scambio di criptovalute può avvenire solo su base volontaria.

Peraltro abbiamo la riprova che il disfavore con cui le istituzioni guardano alle criptovalute non è solo collegato alla volatilità delle stesse. E’ più probabile, invece, che la questione sia più ampia ed investa l’impossibilità di esercitare un controllo sulle stesse.

A tal proposito basta osservare cos’è successo a Lybra la moneta che Facebook voleva creare per favorire gli scambi sul proprio marketplace. Nel caso di specie, Facebook aveva annunciato di voler creare una stable coin, cioè una criptovaluta ancorata a degli asset riconosciuti, in modo da risolvere il problema della volatilità.  Fatto sta che, di fronte alla levata di scudi delle Banche Centrali ed alle rinunce dei compagni di viaggio che si era trovata, Facebook fu costretta ad abbandonare il progetto.

La posizione degli istituti di credito e delle banche centrali

Unicredit non più tardi di un mese fa aveva paventato di voler chiudere i conti correnti di coloro che acquistavano criptovalute.

L’emergenza è rientrata non appena il web è insorto di fronte a questa chiusura da parte di Unicredit, la quale infatti, successivamente, ha precisato che la politica aziendale non prevede alcuna attività di investimento in criptovalute (valute virtuali) né per conto dei propri clienti, né per conto proprio. Precisa inoltre che l’istituto di credito non inibisce tali attività ai propri correntisti.

La medesima posizione è stata tenuta anche da altri istituti di credito che hanno però informato i propri correntisti che, pur non inibendo tali tipi di investimento, continueranno ad applicare le norme  relative all’antiriciclaggio, con conseguenti segnalazioni in caso di operazioni ritenute sospette.

Inutile evidenziare come tali avvertimenti, lungi dall’essere ispirati da una reale preoccupazione di legalità, sottendono, invece, l’insofferenza di talune istituzioni rispetto al fatto che la creazione e lo scambio di valore possano essere sottratti al controllo, se non al monopolio, dello Stato.

Conclusioni

Le criptovalute, pur essendo delle valute virtuali, sono un fenomeno reale, ancora marginale, ma reale, con cui dobbiamo confrontarci.
E’ innegabile che le criptovalute presentino alcune criticità: in particolare la mancanza di una regolamentazione giuridica non garantisce un adeguato livello di tutela per quanti decidano di farne uso.

In una situazione di incertezza del diritto e di mancanza di standard minimi di sicurezza in materia di cybersecurity, coloro che investono in criptovalute sono maggiormente esposti ad eventuali perdite economiche o corrono il rischio di cadere vittima di frodi informatiche.

Al netto di questo, che non è poca cosa, le criptovalute possono offrire comunque dei vantaggi, determinati dalla velocità ed efficienza dei pagamenti

In un contesto in continua evoluzione come quello attuale, è comunque fondamentale cogliere le opportunità ed i vantaggi offerti dall’innovazione tecnologica di cui le criptovalute sono un’espressione.

E’ comunque auspicabile che, da un lato il legislatore, prima di intervenire, acquisisca una piena comprensione del fenomeno, dall’altro che anche l’utente raggiunga un buon livello di alfabetizzazione, prima di iniziare ad operare. All’interprete del diritto, infine, in attesa di una regolamentazione organica della materia, tocca l’arduo compito di sapersi destreggiare con le norme vigenti, facendo pieno ricorso a tutti i criteri ermeneutici messi a disposizione dall’ordinamento e, perché no, ad una buona dose di creatività, dovendosi peraltro dubitare che le normative future possano essere la panacea dei problemi attuali. La notizia di questi giorni secondo cui il Governo si appresterebbe ad introdurre una schedatura di tutti i soggetti che operano con le criptovalute non lascia presagire nulla di buono. Ancora una volta, infatti, sembra  replicarsi e confermarsi il paradigma del rule by law, cioè del controllo sociale attraverso la legge, invece del rule of law, vale a dire del primato della legge.



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