Il caso caporalato in Uber

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Dopo l’incriminazione per il reato di caporalato, a quasi un anno di distanza, il Tribunale di Milano revoca la misura dell’amministrazione giudiziaria.

Con decreto del 3 marzo 2021 il Tribunale di Milano, Sezione Misure di Prevenzione, ha disposto la revoca della misura di prevenzione dell’amministrazione giudiziaria dei beni connessi ad attività economiche e delle aziende, applicata nei confronti di Uber Italy srl con decreto emesso in data 27 maggio 2020, come previsto dall’art. 34 c. 1 D.Lvo 159/2011, cosiddetto Codice Antimafia, poi sostituito dalla Legge 161/2017.

A tal proposito ricordiamo come la misura preventiva che, a quanto pare, ha sortito gli esiti sperati,  fosse stata disegnata in modo chirurgico, secondo i principi costituzionali  di proporzionalità e adeguatezza  sanciti dall’ordinamento penale: non l’esautorazione della “governance aziendale”,  ma soltanto un intervento di affiancamento finalizzato ad una concreta bonifica aziendale su precise linee guida declinate dal Tribunale.

Le ragioni della revoca dell’amministrazioni giudiziaria

Nel provvedimento di revoca della misura dell’amministrazione giudiziaria, il Tribunale dà ampio conto dell’azione virtuosa intrapresa dall’azienda durante il periodo di amministrazione giudiziaria.

In particolare Uber:

  • ha adempiuto al programma prescrizionale, esteso di fatto anche ad Uber Eats Italy;
  • si è dotata di un assetto organizzativo e di organi di controllo nonché presidi di legalità rafforzati;
  • ha vietato l’adozione di subappaltatori (fleet partner) dai quali si era originata la misura;
  • ha adottato tutti i protocolli delle aree sensibili, in tema della salute e sicurezza sul lavoro;
  • è stata riammessa all’interno delle associazioni di categoria (Assodelivery) con ruoli dirigenziali;
  • L’assetto di compliance è stato adottato da Uber Italy e dalla cessionaria Uber Eats Italy e si è rivelato in grado di intercettare progressivamente focolai di illegalità.
le contestazioni mosse ad Uber Italy

Mentre il provvedimento di revoca dell’amministrazione giudiziaria ci restituisce un prezioso materiale didattico dal quale attingere in un’ottica di adeguamento dei Mog, va ricordato come la situazione contestata alla società contemplasse  un regime di sopraffazione retributivo e trattamentale attuato nei confronti di molteplici lavoratori reclutati in una situazione di emarginazione sociale e quindi di fragilità sul piano di una possibile tutela dei diritti minimi , situazione aggravata dall’emergenza sanitaria a seguito della quale l’utilizzo dei “riders” era progressivamente aumentato a causa della richiesta determinata dai restringimenti alla libertà di circolazione della popolazione imposta dalle Autorità che potrebbe avere provocato anche dei reclutamenti a valanga e non controllati.

La nozione del reato di caporalato

Il caso Uber è paradigmatico perché ci consente una riflessione su un reato, “il caporalato”, che non necessariamente deve essere relegato al settore agricolo. Dovunque ci sia sfruttamento della manodopera, infatti, devono tempestivamente scattare gli indici di allarme del reato in questione.

Ad oggi si tratta di un reato di cui si sono «appropriate» preferenzialmente le consorterie mafiose e che, a dispetto della scarsa considerazione che finora ha riscontrato nei Mog, potrebbe  divenire una vera e propria piaga nell’imminente periodo post Covid, in cui una gran massa di soggetti economicamente fragili potrebbe essere oggetto di sfruttamento.

Conclusioni

Appare, quindi, improcrastinabile adeguare i modelli di organizzazione e gestione alla situazione post covid che si va profilando.

In particolare sarebbe opportuno procedere ad una nuova valutazione del rischio reato presupposto di caporalato anche alla luce delle considerazioni svolte dal Tribunale di Milano, rischio che dovrà ovviamente prendere in considerazione anche la filiera dei subappaltatori.

A tal proposito potrà tornare molto utile la schematizzazione degli indici di reato proposta dal Ministero del lavoro e segnatamente:

1) intermediazione illecita o ingannevole;

2) violazione della normativa sull’orario di lavoro;

3) assenza di retribuzione o retribuzione al di sotto dei minimi salariali;

4) violazione delle norme su salute e sicurezza sul lavoro;

5) violazione delle norme su lavoro e previdenza sociale;

6) condizioni di lavoro degradanti;

7) condizioni di vita degradanti.

Sarà poi il caso di aggiornare o, se non ancora previste, definire delle procedure e dei protocolli adeguati, così come anche l’Organo di Vigilanza dovrà farsi carico di un surplus di lavoro, caricandosi di audit soprattutto sul fronte selezione della manodopera, contrattualistica e verifica delle condizioni di lavoro.

In conclusione lo smart working lato “compliance” per Governance e ODV, intendendo questa volta per smart working l’attività intelligente da mettere in cantiere in ottica post covid, è soltanto all’inizio e non è più rinviabile.

 

 



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