08 Giu Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro
La Legge 29 ottobre 2016, n. 199, entrata in vigore il 4.11.2016, ha operato un intervento volto a rafforzare il contrasto al cosiddetto “caporalato”, cioè lo sfruttamento illegale della manodopera a basso costo.
In particolare è stato modificato il testo dell’art. 603-bis c.p. concernente il reato di “Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro”.
Rispetto al testo previgente, la nuova fattispecie risulta sicuramente più ampia.
Il reato in esame, oggi, colpisce anche chiunque “utilizza, assume o impiega manodopera, sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno”.
Il legislatore amplia anche la portata dei cosiddetti “indici di sfruttamento” enunciati dall’art. 603-bis c.p. essendo.
Tali parametri sono la reiterazione di violazioni di norme in materia di retribuzione, ferie, orari, riposi ed aspettative ovvero violazione di norme in materia di sicurezza ed igiene nei luoghi di lavoro.
A ciò deve aggiungersi che integra il reato in esame, rispetto alla fattispecie previgente, anche la condotta non necessariamente caratterizzata da violenza, minaccia o intimidazione, posto che la violenza e la minaccia sono divenute oggi semplici circostanze aggravanti e non più elementi costitutivi del reato.
Tali novità hanno una ricaduta sulla responsabilità amministrativa delle società ex Dlgs. 231/2001.
In particolare l’art. 6 della L. 199/2016, introduce il reato di cui all’art. 603-bis c.p. in seno all’art. 25-quinquies, co. 1, lett. a) D.Lgs. 231/01, prevedendo per la società le stesse gravissime sanzioni disposte per i diversi reati di “Riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù” (art. 600 c.p.), “Tratta di persone” (art. 601 c.p.) e “Acquisto e alienazione di schiavi” (art. 602 c.p.).
Le sanzioni sono pertanto le seguenti:
– sanzione pecuniaria da 400 a 1000 quote societarie;
– sanzioni interdittive di cui all’art. 9, co. 2 D.Lgs. 231/01, senza esclusioni, per una durata non inferiore ad un anno;
– interdizione definitiva dall’attività, se la società o una sua unità organizzativa sono stabilmente utilizzati allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione del reato.
Quanto precisato va considerato nell’ottica della necessità di rivedere la tenuta del Modello 231 con l’introduzione di eventuali protocolli di prevenzione.