La Suprema Corte rivoluziona l’assegno di divorzio

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Storica sentenza della Suprema Corte di Cassazione. La prima sezione civile con la pronuncia n. 11504 del 10 maggio 2017 ha letteralmente scardinato un principio fino ad ora costantemente applicato dai Giudici nella determinazione dell’assegno divorzile. Il riferimento al “tenore di vita” della coppia in costanza di matrimonio viene infatti messo in soffitta, non essendo più, secondo la Corte, al passo con i tempi.

Il matrimonio, motiva la Corte va interpretato “come atto di libertà e di autoresponsabilità, nonché come luogo degli affetti e di effettiva comunione di vita, in quanto tale dissolubile (matrimonio che – oggi – è possibile “sciogliere”, previo accordo, con una semplice dichiarazione delle parti all’ufficiale dello stato civile, a norma dell’art. 12 del D.L. 12 settembre 2014, n. 132, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 10 novembre 2014, n. 162)”.

Sempre secondo gli Ermellini “questo principio, inoltre, appartiene al contesto giuridico Europeo, essendo presente da tempo in molte legislazioni dei Paesi dell’Unione, ove è declinato talora in termini rigorosi e radicali che prevedono, come regola generale, la piena autoresponsabilità economica degli ex coniugi, salve limitate – anche nel tempo – eccezioni di ausilio economico, in presenza di specifiche e dimostrate ragioni di solidarietà”.

Ne consegue che l’assegno divorzile deve solo svolgere una funzione assistenziale nei confronti del coniuge più debole. Per la su quantificazione, precisa ancora la Corte si potrà, pertanto, tener conto delle “condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutare tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio.”

Cancellato, pertanto, il parametro del “tenore di vita goduto” dalla coppia durante il matrimonio che secondo la Corte “può tradursi in un ostacolo alla costituzione di una nuova famiglia successivamente alla disgregazione del primo gruppo familiare, in violazione di un diritto fondamentale dell’individuo (cfr. Cass. n. 6289/2014) che è ricompreso tra quelli riconosciuti dalla Cedu (Corte Europea Diritti dell’Uomo: art. 12) e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (art. 9).



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